LA DIFESA DEI CONFINI ORIENTALI
COME SALVARONO I CONFINI ORIENTALI Per venti mesi bloccarono
qualsiasi infiltrazione del IX° Corpus titino, ma a prezzo di una autentica
ecatombe, che tuttavia evitò la slavizzazione del Friuli.
Gabriele del Mizza
Reggimento alpini Tagliamento e Battaglione bersaglieri
Mussolini della Rsi, in poche ore due diversi destini: massacrati e infoibati
i bersaglieri dai titini, rientrati in 800 gli alpini incolumi in Friuli,
per la tempestiva personale decisione di un giovane sottotenente. Il Mussolini
era stato formato a Verona già all’indomani dell'8 settembre '43,
in quel lampo di entusiasmo disperato che aveva preso la miglior parte
della gioventù. Il Tagliamento, per la sua maggior consistenza -due
battaglioni di alpini ed uno di bersaglieri, circa 2.300 uomini- era nato
nell'arco di due mesi; impresa non da poco, visto il clima di totale collasso
morale di quell’autunno. I due reparti, negli ultimissimi giorni di guerra,
a Penisola ormai quasi totalmente invasa dagli Alleati, il 28-29 aprile
'45, erano ancora fianco a fianco, schierati a ridosso del vecchio confine
con la Jugoslavia, nella Conca di Tolmino, sull'Isonzo e ancora più
a Est nella Val Bacia, da Santa Lucia a Piedicolle, in territorio innegabilmente
sloveno.
Per ben venti mesi, Tagliamento e Mussolini avevano
evitata all’Italia, al Friuli, tanto agognato da Tito, qualsiasi infiltrazione
del IX° Corpus jugoslavo, operante al di là della selva di Tarnova
con la collaborazione della divisione comunista Garibaldi-Natisone, sponda
complice per l'annessione alla Jugoslavia di tutta la regione friulana
(celebre il proclama in tal senso del Pci di Udine) e protagonista di eccidi
fratricidi come quello della malga Porzus. Pur non essendo stata una guerra
come quella del Carso, e cioè un massacro quotidiano, ma una guerriglia
di scontri episodici, al conto finale le perdite delle due unità
presentavano cifre da capogiro, proprio da trincea carsica: il Mussolini
era dimezzato e il Tagliamento dava un consuntivo da far meditare qualsiasi
italiano: caduti e scomparsi 720, mutilati e feriti 608, eliminati oltre
conflitto 45. Una vera, straziante ecatombe di vite in gran parte giovanissime,
ma non inutile come quella di una guerra perduta, perché l'obiettivo
prefisso, alla fine delle ostilità, era in concreto pienamente raggiunto:
in Friuli arrivavano gli Alleati senza trovarvi uno slavo a pretendere
di restarci.
Quella che si può ricordare, con altrettanta
storica serietà, come la Seconda Ritirata di Caporetto, ebbe tuttavia
connotati nettamente diversi dalla prima. Nel '45 si trattò di una
vera "ritirata" in perfetto ordine di marcia, dalla Val Bacia
per Tolmino e Caporetto, sino a Cividale, lungo il Natisone, e non una
"rotta", come quella del 1917. Fu la ritirata di un piccolo battaglione,
l'Isonzo, non da Tolmino, ma da oltre Tolmino, e non di un intero esercito,
sbaragliato dal nemico dilagante sul Friuli. Piuttosto fu una marcia-indietro
per sfuggire alla morsa del nemico slavo con l'obiettivo positivo e vittorioso
di impedirgli Cividale e con ciò la strada per Udine, con la riunificazione
di tutte le forze del Tagliamento in quella cittadina.
Questo il risultato raggiunto: alla fine delle ostilità,
si poteva affermare con tutta certezza che l'azione tempestiva dei comandanti
e, certo, una buona dose di fortuna, avevano fatto del Tagliamento l’unica
unità della Rsi regolarmente smobilitata, senza essere stata prigioniera
di nessuno, né dispersa e massacrata dai comunisti.
Sviluppi decisivi
Ma da dove, come era incominciata,
e da chi decisa questa piccola catabasi verso il Friuli? La questione s’è
imposta in termini storici, solo negli ultimi tempi, sia per iniziativa
dei reduci (anche per esigenze anagrafiche), sia nell’ambito del dibattito
sui fatti di guerra al confine orientale. Quel ripiegamento dalla Val Bacia,
che ebbe sviluppi decisivi sulle vicende della regione (e della Nazione),
va dunque analizzato ab origine. Nel grande quadro della guerra, la cosiddetta
Fortezza Europa era ormai espugnata, Italia compresa; il Governo della
Rsi ormai fucilato e inesistente; mentre il piccolo quadro del Tagliamento
e del Mussolini presentava comunicazioni interrotte, movimenti tedeschi
in partenza, e forze partigiane in fase di avvicinamento ed accerchiamento.
A Chiesa San Giorgio, sede del suo comando dei quattro distaccamenti della
Val Bacia, il sottotenente friulano Gastone Oliviero Mian, come i superstiti
ricordano, seguiva ora per ora il precipitare degli eventi, grazie a una
radio fornita da una bella signora "filo-italiana", la quale
a sua volta era larga di notizie sui movimenti di montagna delle bande
titine.
Prima di muoversi, ancora il 28 aprile, egli aspettava
- come certamente sarebbe stato in una normale circostanza - un cenno dal
comando di battaglione schierato a Tolmino, e cioè dal maggiore
Guglielmo Grossi, ufficiale stimato e militare pluridecorato, o una decisione
di ritirata del Mussolini, pure acquartierato a Tolmino. Ma, mentre il
comando del Mussolini comunicava ai suoi ufficiali di non muoversi, da
Tolmino sino al tardo pomeriggio nessuna disposizione pervenne dal maggiore
Grossi. Fu allora che Mian dovette pensare a prendere una decisione autonoma,
tanto che nel predisporre la partenza dovette scontrarsi con i suoi colleghi
del Mussolini (i quali giustamente, nella loro situazione, vedevano in
ciò un abbandono di posto), Oscar Busatti di Ferrara e Sebastiano
Mastinu, sardo, con i quali aveva vissuto e collaborato per tanti mesi.
Prima di lasciarli, però, a tarda sera, dovendo salutare quella
signora della radio, sua amata e confidente, volle chiederle se si poteva
aspettare sino al mattino dopo, in attesa che il Comando Mussolini cambiasse
propositi. La riposta fu: «Domani mattina potrebbe essere troppo
tardi. Quelli di sopra stanno venendo a basso». Ecco perché,
nella Seconda Ritirata di Caporetto, ebbe la sua parte decisiva anche la
Fortuna: si chiamava Daniela Kokosar italianizzata Cossari, di Piedimelze,
un paesino a un chilometro da Chiesa San Giorgio, sede del distaccamento
degli alpini comandati da Mian. «Non fuggiamo, ce ne andiamo a casa,
per ritornare», fu la frase beffardamente dannunziana che Mian scrisse
sulla parete del suo alloggio, già con lo zaino in spalla.
Sarebbe stato proprio «troppo tardi»,
aveva ragione quella donna. Altrimenti il Maggiore Grossi non avrebbe,
come fu, fatto buona accoglienza all'arrivo, verso il mattino del 29, dei
lontani distaccamenti del sottotenente Mian, assieme a quello di Santa
Lucia, che pur senza dipendere da questi, ma direttamente da Tolmino, gli
si era accodato: poche ore dopo, proprio da Santa Lucia il nemico chiudeva
la Val Bacia e con essa lo splendido ma sfortunatissimo battaglione Mussolini.
Il maggiore Grossi, dopo essersi accomiatato dall’alleato
comando tedesco di Tolmino - interprete lo stesso sottotenente Mian - poté
procedere con tutto il suo battaglione Isonzo verso Cividale, a unire cioè
le sue forze a quelle del comandante Ermacora Zuliani, fondatore del Reggimento
assieme al ministro di Salò, l'udinese Piero Pisenti.
Il comandante Ermacora Zuliani, fondatore del reggimento “Tagliamento"
(da non confondere con la omonima Legione della G.N.R.) insieme al maggiore
Guglielmo Grossi, comandante del battaglione di stanza a Tolmino
Miracolo diplomatico
Con questa sorpresa: Zuliani, che ovviamente solo per
motivi di forza maggiore - la situazione caotica derivata dall'esigenza
di nuovi rapporti politico-militari e la mancanza di ogni mezzo di collegamento
- non era riuscito a comunicare l'ordine di ritirata del battaglione Isonzo
dalla Val Bacia e da Tolmino, aveva però compiuto un vero miracolo
diplomatico pur da quel soldato assoluto che era: aveva stretta alleanza
con la forza partigiana verde (sia pure di un centinaio di uomini male
armati) della Osoppo, alleanza in funzione antislava, però contemporaneamente
impediva alle forze rosse di continuare la lotta contro il Tagliamento.
E fu così che questo reggimento, divenuto di colpo la maggior forza
in loco, poté decidere della sorte di Cividale e del Friuli. La
"piccola ritirata" dalla Val Bacia decisa da un semplice ufficiale
subalterno, permetteva, nei giorni seguenti, a un reggimento che aveva
perso la guerra, di essere paradossalmente incaricato dal comando Alleato
dell'ordine pubblico. Tanto che, durante i loro semestrali raduni, i superstiti
della Val Bacia non mancano di ricordare come quell'ufficiale "sconfitto"
cacciò dal palazzo della città avanguardie titine che vi
si erano installate con l'ausilio delle forze rosse italiane, fino a rispedirle
in Slovenia con un camion e qualche sacco di farina.
A questo punto, e dati tali risultati di quella
Seconda Ritirata di Caporetto, sembra inevitabile un interrogativo di indubbia
rilevanza storica: senza di essa l'attuale confine orientale sarebbe Caporetto
così com'è, o non piuttosto molto più in qua, sul
fiume Tagliamento, meta di Tito?
STORIA VERITÀ N. 9 Novembre Dicembre 1997 (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)